Nel
2011, il giorno 16 del mese di giugno, eravamo qui riuniti per la presentazione
del volume “Cimano di San Daniele. Un feudo, un paese”, uno
dei tanti tasselli che don Remigio Tosoratti, curioso per indole e storico
per passione, ha collocato durante una vita dedicata alla ricerca, scandita
da anni di paziente e sistematico spulciare tra carte e documenti, nel
grande mosaico che compone la lunga e ricca storia della comunità
sandanielese. A distanza di poco più di un anno, siamo nuovamente qui per introdurre ancora un libro: anche questo dedicato a Cimano, anche questo scritto da un sacerdote, don Nello Marcuzzi. Non crediamo si tratti di una semplice coincidenza. Così, se l’ultima fatica di don Remigio ci ha svelato Cimano come luogo anticamente ricco di boschi, pascoli e corsi d’acqua, deputato allo sfruttamento comune, il racconto spontaneo di don Nello Marcuzzi ci presenta l’anima di una collettività, fatta di storie quotidiane, ricordi personali ed emozioni collettive. In queste pagine, ricche di immagini, lingua, usanze, vanto e fede mostrano il lato più autentico della popolazione cimanese, ragalandoci un ritratto di uomini e donne avvezzi alla fatica e al lavoro. L’acqua ha modellato fin dalle origini la morfologia del Cimano e il carattere delle sue genti. La forza della natura, con le ripetute piene dei fiumi Ledra e Tagliamento, ha profondamente mutato l’aspetto di questi luoghi nel corso dei secoli. L’opera dell’uomo, ne ha determinato spesso la fortuna, a volte la cattiva sorte. Proprio per questo la storia di Cimano è tanto ricca ed affascinante. Proprio per questo a raccontarla è ancora una volta un parroco: termine che deriva dal greco antico pàroikos, a sua volta derivazione di parà oikèo cioè “abitare nei pressi”, ovvero chi, da sempre, sta vicino ai suoi fedeli, li ascolta e li guida, ne conosce vizi e virtù, condivide con essi sofferenze e volontà. Leggendo “Alc di Ciman” si comprende come, con volontà e tenacia, gli abitanti di Cimano abbiano da sempre messo in pratica il messaggio evangelico contenuto nella “parabola dei talenti”, trasformando una terra inospitale di selve e lupi in un luogo abitato, facendone fruttare le risorse. Dapprima le fornaci fornirono calce e mattoni per edificare i più importanti edifici pubblici del Capoluogo: la Lozia Comunis; la Cisterna di Piazza, la Torre delle Hore; poi vennero i mulini, i ponti, la ferrovia. Ma una comunità può dirsi tale se, oltre a condividere lo stesso ambiente fisico, il lavoro e le attività quotidiane, forma un gruppo riconoscibile unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi ed interessi comuni. Ecco allora che nel 1961, la storica suddivisione del territorio di Cimano tra i comuni di Majano e San Daniele ottiene finalmente il distacco dal primo e l’aggregazione al secondo, diventando località e in seguito frazione; che nel 1986 si benedice il cimitero e nel 1997 si celebra la dedicazione della chiesa. Oggi, dopo che anche il terremoto ha presentato un conto davvero salato a questa comunità, dobbiamo tutti essere grati alla “buona e laboriosa popolazione di Cimano” (e cito le parole del cimanese Rufino Molinaro) che ha saputo trasformare un “clapat”, un “sasso”, in un “paese”. |